Chicca Lualdi: amore a prima sfilata
La prima sfilata della prima giornata di questa Milano Fashion Week per l’autunno/inverno 2015/2016. A me piace dire autunno e inverno, non F/W. Credo mi dia più l’idea di cosa mi aspetti in passerella. Mi piacciono le parole, non le abbreviazioni. Mi piace la mia lingua. E così questa è una divagazione prima di dire che la prima sfilata della mia vita è stata una cosa emozionante.
Ma non come quando ti emozioni per un concerto o prima dei regali al tuo compleanno o per la tua laurea. Si è trattato dell’emozione del vedere finalmente di cosa si tratta, di cosasuccede quando le fantasie che ti sei fatta, i sogni, le idee, le fantasticherie diventano reali e concrete. Ti siedi insieme ad altra gente che ci è abituata e sai che potresti sembrare diversa da loro, perché non sei imbronciata ma sorridi e non stai nella pelle. Aspetti la musica, il suono delle macchine fotografiche, il fruscio degli abiti.
(Ok, serietà e professionalità, Serena! Parliamo della sfilata!) Chicca Lualdi è nota per le sue linee pulite e per le collezioni coerenti ad un mood scelto per ogni stagione. Per l’immagine di una donna forte nella sua semplicità. E’ un modo di vestire che adoro, convinta io, che non si debba strafare e che l’originalità sta proprio nel riuscire a farsi notare con abiti semplici e non assurdi. Abiti belli.
Per questa collezione, sulla passerella nelle sale di Palazzo Clerici, l’ispirazione erano gli anni 60. Era inequivocabile, senza leggere il comunicato, eppure non banale. I classici abitini dalla linea a trapezio sono resi moderni da trasparenze mai eccessive. I colori sono tra quelli che preferisco: bordeaux e marroni, ma soprattutto blu da quello più scuro a quello più elettrico, passando per tutte le sfumature. Per ognuna di noi c’è un tipo di blu che sta bene, così avrà pensato la stilista e ce li ha messi tutti.
Ci sono pochi pantaloni, in proporzione quanti nel mio guardaroba. Splendidi cappottini, quanti ne servirebbero a me per essere una ragazza felice. Prevalgono i colori pieni e se lo meritano visto che li ha scelti così bene, dove c’è una stampa è semplice ma originale. Ho gradito la semplicità delle modelle e la loro acconciatura, la variazione di lunghezze, i collettoni bianchi.
Se gli anni 60 fossero adesso probabilmente sarebbero così. Se Mary Quant avesse disegnato oggi le sue collezioni, probabilmente lei e la Lualdi avrebbero litigato. Se uno vuole fare gli anni 60, per la moda così rivoluzionari, deve saperli rivoluzionare. E io solo ora me ne rendo conto di cosa questa stilista ha fatto: ha preso gli anni 60 e ci ha allungato l’orlo, li ha colorati con una palette moderna e li ha avvolti in materiali nuovi. Li ha rinnovati eppure sono ancora riconoscibili.
Se vi chiedete come sia possibile, allora ancora non credete, come me, nella magia della reinterpretazione del passato.