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Quando un’icona diventa profumo: Diana Vreeland

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È davvero raro che la pubblicità di un profumo mi faccia venire voglia di provarlo o acquistarlo. Può nascermi la curiosità, ma niente di più. Trovo sempre poco realistico ed efficace il tentativo descrivere un odore. È così difficile. Quanti termini possono esistere per farlo? Bouquet fiorito? Sì certo, sanno sempre di fiori i profumi. Delicato? Forte? Troppo soggettivo per dirlo. Forse tengo troppo a questo senso per fidarmi delle parole. Un profumo va sentito.

Eppure quando ho saputo che 10 Corso Como, Milano, ha realizzato un’edizione limitata di cinque parfums ispirati a Diana Vreeland, non ho avuto dubbi sull’essenza, l’originalità e la forza di queste fragranze.

Diana è sempre stata una fonte d’ispirazione per me. Dall’avanguardistico lavoro di redattrice alle acute affermazioni. La conosco, l’adoro da sempre. E ne ho sempre immaginato il profumo. Lo immagino come quello delle signore di classe che portano i pantaloni. Che inventano le tradizioni e guardano al futuro. Forti, di una forza delicata. Autentiche. Come ormai ne esistono poche.

La Vreeland è stata direttrice di Vogue dal 1962 fino al 1972. Ma la sua lunghissima carriera inizia già durante gli anni ’30 ad Harper’s Baazar. È il personaggio cui si deve l’attuale accezione di moda e l’immagine delle riviste così come oggi le sfogliamo, pensate come lavoro unitario di impaginazione, fotografia e scrittura.

La rubrica “Why don’t you?”, da lei personalmente ideata e curata, durante il lavoro d’esordio ad Harper’s Bazaar, rappresenta uno spazio di consigli originali ed inusuali, che aprirono le frontiere di un nuovo tipo di giornalismo di moda, quello dell’opinione e dei suggerimenti.  Lavare con lo champagne avanzato i capelli biondi dei propri bambini, trasformare un vecchio cappotto di ermellino in una vestaglia, o, ancora,  rivestire il portabagagli dell’auto con una pelliccia d’alce: indicazioni non solo sull’abbigliamento ma sullo stile di vita, sulla casa, sull’infanzia. Era una rubrica che incarnava un’idea di moda moderna, una moda a 360°. Ancora attuale ed unica, come nessun’altra.

L’aspetto surreale e avanguardistico delle sue prime parole come giornalista è concretizzato nella sua singolare ed iconica figura di genio, di scopritrice, di rivoluzionaria. Particolare ed incisiva a partire dal suo aspetto, dalla sua voce roca e dall’ abbinamento di smalto e rossetto immancabilmente rossi.

Lei era una donna non dotata di una particolare bellezza, ma della classe più autentica, dallo stile più elegante, seppur a volte ostentato e barocco: si presentava al mondo con un look infallibile quanto il suo intuito, che le fece compiere le scelte più anticonformiste, spesso criticate.

La sua è stata una carriera caratterizzate da ironia e dal costante rischio di scadere nel cattivo gusto, cosa che Diana non temeva per nulla: affermare, infatti, che è preferibile un pizzico di cattivo gusto, piuttosto che l’assenza totale di gusto. (Forse oggi di fronte ad alcune immagini, tanto per citare quelle di una Miley a caso, non sarebbe più tanto d’accordo.)

L’idea della collezione Diana Vreeland Parfums è del nipote Alexander Vreeland. Le somigliano nell’essenza: affascinanti e particolari. Nei nomi: Extravagance Russe, Absolute Vital, Perfectly Marvelous, Outrageously Divine, Simply Divine. Nei flaconi: linea anni 30, classici ma d’impatto, dai toni caldi. Per l’occasione presso lo store milanese, dal 4 al 7 settembre è anche prevista la proiezione del film-documentario a lei dedicato.

Indosserei un profumo ispirato alla Vreeland, certo. E solo il fatto che esista mi invoglia a provarlo e usarlo per sempre. Nell’illusione che una personalità come la sua possa essere catturata in una boccetta rosso fuoco. Immaginando che ogni volta che spruzzerò sui polsi quell’irresistibile fragranza imparerò, per magia, ad essere anche solo un po’ originale come lo era lei.

 Se non vi sono bastate queste parole per capire chi è stata questa donna, la biografia saprà soddisfarvi al meglio.

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